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Artist: Daniele Malsivi six group     Album: Virtuous Circles of Miles Davis     Label: AlfaMusic     Code: 8032050015170

Virtuous Circles of Miles Davis

  • Virtuous Circles of Miles Davis

  • Daniele Malsivi six group

  • 23 October 2015

  • 8032050015170

  • AFMCD181

  • AlfaMusic

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  • Created on : 08 October 2015

  • Total songs : 8

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  • From: AlfaMusic

Press Release

VIRTUOUS CIRCLES OF MILES DAVIS - Daniele Malvisi six group

Daniele Malvisi Sax and arrangements
Giovanni Conversano Guitar
Andrea Cincineli Guitar
Gianmarco Scaglia Double bass
Paolo Corsi Drums & percussions
Leonardo Cincineli Live electronics

Come si affronta nel jazz, musica dell’attimo, la questione del repertorio, che poi è anche la questione del passato? Un passato che è solo in minima parte (fortunatamente) codificato in pagine immutabili, ma che è invece largamente individuale, dipendente dal vissuto di tutti noi? Fare musica improvvisata è anche questo, riflettere sul passato, perchè ogni suono, ogni linea melodica, ogni timbro
ha una storia che risuona diversamente in ciascuno degli ascoltatori.
La svolta “elettrica” di Miles del 1969, annunciata da una serie di esperimenti compiuti negli anni precedenti, mise a subbuglio il mondo del jazz.
Come, il maestro della sfumatura e dell’understatement che aveva creato le delicatissime atmosfere di Kind of Blue si dava ai suoni aspri e colorati delle
chitarre elettriche, ai muscolari ritmi del funk, alle elaborazioni elettroniche
delle tastiere? A rileggerle oggi sono polemiche che fanno sorridere, tanto è
evidente il profondo legame tra tutta la carriera di Miles e quelle soluzioni degli
anni Settanta.


Questo disco racconta dell’impatto che la musica di Miles Davis degli anni Ottanta
- soprattutto “Tutu” e “Decoy” - ha avuto su un gruppo di giovani musicisti toscani
che in essa si riconobbero percependone al di là di barriere linguistiche, razziali,
nazionali e musicali le potenzialità espressive/eversive, e di come questa musica sia ancora oggi capace di emozionare e ispirare la creazione.
L’intensa qualità personale di questo album, per certi versi una serie di pagine
di diario rilette oggi, è sottolineata dall’uso della voce di Miles nel suo significato puramente musicale, perfetto contrappunto all’assenza di una tromba nel gruppo dedicato al grande trombettista in un dialogo con la memoria. E l’aura di effetti elettronici creata da Leonardo Cincinelli (omonimo ma non parente di uno dei due chitarristi del gruppo) accentua la dimensione onirica, la profondità temporale di
questa musica reinterpretata a distanza di decenni dai tempi in cui il Miles “elettrico” dava scandalo a chi confonde l’aspetto esteriore delle cose con la loro sostanza artistica.


Molti dei brani segnalano questo percorso a ritroso, per cui anche i brani del Miles non ancora elettrificato sono stati riscoperti da Daniele Malvisi e dai suoi sodali dell’epoca solo dopo averne ascoltato la fase post-Bitches Brew. In apertura di album, dalle brume di rumori iniziali che sembrano fondersi nel background sonoro in cui si trova
l’ascoltatore emerge insensibilmente un drone, poi punteggiato dal metallo dei piatti, e infine irrompe una travolgente Nardis (titolo che mantiene tutto il proprio potere evocativo grazie anche al fatto che nessuno è riuscito a penetrarne il mistero) con una appassionata perorazione sassofonistica dello stesso Malvisi, che così racconta la sua
ossessione per il suono di Miles dopo averlo sentito dal vivo a Viareggio: “Le emozioni di quel giorno rimasero con me per mesi, mi sembrava di essere un illuminato, come avvolto da un contagio benefico che mi sentivo in dovere di diffondere.
Tornato a casa mi tuffai nella musica di Miles come un assetato. Passavo intere giornate a suonare sul suono della sua tromba, in modo particolare quando
usava la sordina. Non so perché, ma mi sforzavo di trasferire quella rotondità così intima nel suono del mio sax e ne avevo bisogno come il buio della luce.
Mi sono esercitato per anni ascoltando e rincorrendo quel suono. Quando lo facevo mi sentivo dominato da una sensazione a metà strada tra il desiderio e l’invidia. A pensarci adesso è davvero strano che non mi sia mai passato per la mente di diventare un trombettista.”
Ci sono in queste parole tutti gli elementi della formazione del giovane artista, e
il nascere di quella passione che non si limita a godere di una creazione artistica ma sente il bisogno di condividerne il “contagio benefico”: è nella natura del jazz di essere un’arte sociale, di nascere da precise condizioni sociali e di continuare a portare dentro un profondo bisogno di socializzazione, di diffusione di un messaggio che non è solo individuale; ed è questa in particolare una caratteristica del miglior jazz europeo.
Esemplari del punto di vista di questo album le due versioni di Milestones, in prospettiva rovesciata: quella più acustica e apparentemente vicina al jazz della fine degli anni Cinquanta, quando Davis registrò per la prima volta il brano, viene presentata dopo una versione dalla veste più moderna ed elettronica, a tratti stralunata, carica di effetti e di suoni ambientali campionati. In ambedue le versioni tuttavia si esercita la carica innovativa e originale del gruppo, evidente dalle esposizioni dei temi, dall’accompagnamento agli assoli in cui si combinano elementi tradizionalmente jazzistici con effetti elettronici, per arrivare al cangiante sostegno ritmico di Paolo Corsi, magistrale e flessibile batterista spesso al centro dei progetti
più innovativi del jazz toscano. In mezzo è piazzata Solar – un brano che non poteva mancare, vista l’attrazione che ha sempre esercitato verso tutti i musicisti d’improvvisazione, anche quelli delle aree più estreme. Sono gli unisoni tra chitarra e sax, con le due chitarre di Andrea Cincinelli e Giovanni Conversano che si alternano nei ruoli di commento, accompagnamento ritmico e assolo, a caratterizzare l’apertura del brano, creando una cortina di suono che poi si apre presentando l’elegante fraseggio del sassofono su uno sfondo sonoro minimale. Una delle caratteristiche di questo album è il veloce alternarsi di atmosfere diverse, ed anche qui il dialogo rapidamente si arroventa per lasciare il posto all’incisivo assolo di chitarra prima
della ripresa finale del tema con i suoi agili cambiamenti di tempo. Con Jean Pierre si entra in piena atmosfera rap, con il basso parlante e cantante di Giammarco Scaglia a menare le danze con passione ma anche con grande divertimento, alternandosi al
tipico turpiloquio di Miles con Paolo Corsi scatenato nel backbeat.

Pfrancing (nota anche come No Blues, dall’album “Someday My Prince Will
Come”) è naturalmente un blues, anche se con qualche screziatura armonica
originale, e il gruppo ci si getta con gusto, particolarmente i due chitarristi
che ne sottolineano con il loro dialogo la struttura a domanda e risposta, prima di
elaborare distesi e rilassati assoli.
Con What It Is si celebra finalmente il mondo di “Decoy”, un altro Lp assai criticato ma di grande impatto negli anni Ottanta; il titolo enigmatico deriva da una celebre battuta di Miles, che alla domanda “Cosa incidi adesso?” rivoltagli da un produttore rispose “I’ll play it first and tell you what it is later” [Prima lo suono e poi vi dirò cos’è]. Uno dei piaceri di essere stato invitato a scrivere queste note, oltre all’approfondito
ascolto del lavoro di Daniele Malvisi, è stato il riascolto dei dischi originali.
“Decoy” che scandalizzò molti per la traccia sperimentale Freaky Deaky, in cui Miles suona solo le tastiere, è in realtà – riascoltandolo retrospettivamente – un brillante album di jazz funk, che è esattamente ciò che Miles voleva fare in quel momento. Il brano ne è forse il culmine, e adesso – trent’anni e passa dopo la versione originale –
l’interpretazione del gruppo di Malvisi ne rivela tutte le possibilità, con un entusiasmo ed un’energia travolgenti che non fanno venire meno la precisione dell’esecuzione e la trasparenza del sound.
In chiusura il gruppo affronta uno dei veri e propri testi sacri del jazz, Blue in Green
da “Kind of Blue”, ovvero uno degli album più influenti della storia di questa
musica.
Grazie all’ascolto dei pezzi precedenti sappiamo che l’approccio non sarà
reverenziale e la registrazione non tradisce – trasformato nel metro e nel
tempo, con il sassofono che richiama l’entrata originale di Davis per poi lasciare di nuovo il posto al basso di Scaglia. Un intenso solo di sax porta al breve riepilogo del tema e poi la voce di Davis con uno svolazzo della sua tromba campionata che svanisce nel silenzio siglano un album che a Miles siamo sicuri sarebbe piaciuto (anche se magari non l’avrebbe detto). 

Il gracchio polemico di Miles è evidentemente rimasto impresso a Daniele Malvisi che così racconta il suo incontro folgorante con il trombettista:
“Anno 1986 (da qualche mese era uscito TUTU), a Viareggio c’è un concerto di Miles. Per un caso fortuito, dopo aver acquistato il biglietto per il concerto e grazie a un caro amico che lavorava in una radio, riesco anche ad avere un passi per la conferenza stampa che Miles avrebbe tenuto in una delle sale dell’albergo a 18000 stelle dove
alloggiava tutto il gruppo. Ricordo che Miles scese le scale accompagnato da una bellissima ragazza bionda che presto si dileguò insieme ad alcuni musicisti della band. Nonostante i problemi all’anca, il passo di Davis era deciso mentre si dirigeva al tavolo della conferenza stampa, già assediato dai giornalisti. Appena si fu seduto avvolse
il suo sguardo dentro gli immensi occhiali a specchio, sembrava pronto a combattere. Tra spinte e mormorii mi trovai ben presto in ultima fila. Visto che non riuscivo nè a vedere niente, nè a sentire le risposte che Miles dava ai giornalisti, decisi di uscire dalla stanza. Alla mia destra c’era un grande terrazzo dal quale si vedeva il mare, vi si accedeva da un ampia porta sorretta da un arco in pietra pieno di decorazioni floreali. Mi incamminai verso quel panorama, ma un insolito brusio catturò la mia attenzione. Mentre incuriosito mi appoggiavo allo stipite della grande porta, tutti cominciarono a uscire dalla sala della conferenza stampa. Tutto era finito, Miles infastidito da alcune
domande sulla sua musica aveva “benedetto” la schiera di giornalisti e senza salutare aveva decretato la fine della conferenza. Uscito dalla stanza prese a braccetto un omone che mi era stato presentato in precedenza come tour manager italiano di Miles. Poi si voltò e chiamò a sè anche Darryl Jones, bassista della band. Il trio così formato
stava proprio venendo dalla mia parte. Miles aveva deciso di prendersi una
boccata d’aria in terrazza. Mi passarono accanto come non esistessi……almeno
così credevo, ma fatti alcuni passi verso il balcone, Miles si fermò. Tornò
sui suoi passi dirigendosi proprio verso di me. Cominciai a tremare e mi sentii
tremendamente fuori luogo. Alzò i suoi occhiali e mi guardò dritto in faccia: gli
occhi erano luminosi e grigi, lo sguardo un magnete. Mi sembrò di essere sotto i
raggi x. Senza voltarsi chiese all’ amico italiano: “Is he a journalist?” – “No Miles,
he’s a young musician, one of your italian fans!” rispose l’omone- “OK” sibilò Davis
con la sua non voce; e ripreso il suo tragitto raggiunse lentamente il balcone.
Non mi sono mai sentito così felice di essere musicista come quella volta. So che è poca cosa, ma quella volta questa qualifica così bistrattata, mi permise di
ascoltare Miles mentre parlava con i suoi amici.
Una leggenda, lì a due passi da me!! In quel terrazzo scorsi un altro Miles. Parlò amabilmente di un giovane trombettista italiano che aveva
conosciuto in Italia molti anni prima, ed era dispiaciuto che il mondo non aveva potuto apprezzare le sue qualità perché morì annegato in giovane età
senza aver mai inciso niente. A detta di Miles sarebbe stato uno dei più grandi.
Purtroppo non riuscii a capire il nome. Il concerto della sera fu bellissimo, oltre 3 ore di energia e magia allo stato puro, Miles aveva voglia di suonare !!!”

E lasciamo per concludere la parola a Malvisi che descrive la sua ultima avventura legata al trombettista:
“Qualche settimana dopo, un gruppo di giovani musicisti discuteva animatamente
dentro ad un auto con i vetri appannati. Notte fonda, abbiamo da poco terminato
le prove: “L’ultima sigaretta?” – “Ma si va!” L’argomento è TUTU, il volume della
musica un torrente in piena. Qualcuno di noi ipotizza che la musica di Miles è contro il sistema e che il potere non diffonderà mai la sua musica perché troppo sovversiva…….poi: “TOC TOC!!” qualcuno bussa al finestrino
appannato. Abbassiamo il finestrino e il volume della
musica. Siamo circondatiiii!!! Quattro tipi con passamontagna e pistole spianate ci intimano di scendere dalla macchina molto lentamente. Ci perquisiscono e si prendono i documenti. Uno di loro si siede in macchina e rovista tutto un altro parla alla radio.
Due ci tengono sotto tiro : DIGOS!! Eravamo passati in un attimo dalla
musica di Miles a un silenzio surreale. “Non sono loro” – dice il tipo con la radio.
Finalmente abbassano le pistole. “Che fate fuori a quest’ora?”- “Siamo musicisti, abbiamo finito le prove e ci siamo fermati a fare due chiacchiere”.
“mmmm”
“Nel portabagagli abbiamo gli strumenti se volete controllare!!”
“Non importa, magari potreste usare anche un volume più basso no!? Siete sordi?”
“Certo ci scusi”
“Che musica fate?”
“Jazz” – dico io
“Miles Davis?”
“Un grande” rispondo.
“Ok ragazzi andate a letto che è tardi!”
“Certo, certo”
“Notte e scusate l’intrusione”
“Notte” in coro.
“Non so se la musica di Miles sia contro il sistema, ma di sicuro non passa inosservata”, dissi dentro di me. Il poliziotto con il passamontagna che
conosce Miles Davis, incredibile!!
Mi convinsi che la musica di Miles aveva a che fare con la vita in modo profondo,
la sua trasversalità ne era un esempio lampante.
Iniziai a studiare i suoi arrangiamenti e i 1000 modi di pensare la musica che caratterizzano l’opera Davisiana. Dall’ascolto dei suoi dischi imparai l’armonia per quarte, e le tantissime strategie di direction che Miles era solito utilizzare, sia in concerto che in studio di registrazione. Al raggiungimento di ogni nuova nozione avevo sempre la sensazione di possedere una nuova magia.
A molti anni da allora, ho utilizzato i suoi insegnamenti e applicato le sue intuizioni
a quasi tutta la musica che ho fatto, in modo più o meno consapevole la sua Musica e il suo concetto di suono, nella mia vita sono sempre stati un punto di riferimento per costruire, elaborare e creare musica.
La sua eredità è oggi un elemento
inscindibile del mio essere musicista, io
la porto con me, sempre!”

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Note di copertina A cura di Francesco Martinelli con l’inclusione di testi originali di Daniele Malvisi.

Track List

VIRTUOUS CIRCLES OF MILES DAVIS - Daniele Malvisi six group

1 Nardis 10.23
2 Milestones (New) 9.06
3 Solar 6.29
4 Milestones (Old) 8.25
5 Jean Pierre 7.30
6 Pfrancing (No Blues) 6.56
7 What it is 7.22
8 Blue in green 5.26


Total Time 61.43

All composed by Miles Davis
Arrangements: Daniele Malvisi

Personnel

Daniele Malvisi Sax and arrangements
Giovanni Conversano Guitar
Andrea Cincineli Guitar
Gianmarco Scaglia Double bass
Paolo Corsi Drums & percussions
Leonardo Cincineli Live electronics

Production supervisor
Fabrizio Salvatore

Recording Data

Recordings, Mix & Mastering
Paolo Corsi


Final Mastering
AlfaMusic Studio – Rome
Sound engineer
Alessandro Guardia

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